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Paternò, anche un “biberon” greco tra i 55 reperti in mostra al liceo De Sanctis

Soprintendenza archeologica di Catania: “Il museo archeologico entra in classe”

C’è anche un “biberon” greco tra i 55 reperti in mostra, per la prima volta, in un liceo siciliano. E’ stata inaugurata la mostra “Memorie ritrovate” al liceo statale De Sanctis di Paternò che espone una raccolta di reperti archeologici di provenienza incerta, restituiti allo Stato grazie al lavoro delle forze dell’ordine, e custoditi nei magazzini della Soprintendenza di Catania. In esposizione oggetti di vita quotidiana di epoca greca tra cui vasi e guttus, appunto usati per far bere il latte ai piccoli, ma anche monili e oggetti di bronzo come lo strigile usato dagli atleti per detergere sudore e sabbia dal corpo dopo le gare. Ancora, una “vetrina di falsi” cioè una silloge di pezzi mal assemblati e, appunto, falsi ma didatticamente utili.

Una mostra-evento resa possibile grazie all’applicazione delle norme prevista dalla Carta di Catania che concederà, per due mesi, il prestito dei reperti alla scuola. L’iniziativa è finanziata dall’assessorato regionale ai Beni culturali, dall’Ars e dalla fondazione Federico II e messa in atto grazie alla sinergia tra il liceo De Sanctis, la Soprintendenza etnea e l’Archeoclub d’Italia.

“Per la prima volta – commenta l’architetto Francesco Finocchiaro, consigliere nazionale di Archeoclub d’Italia, docente e progettista della mostra – è l’archeologia che va verso i giovani. Si tratta di un esperimento nazionale, il cui precedente è stato solo al liceo Tasso di Roma. Il liceo di Paternò ha allestito, in sicurezza, una esposizione con reperti di grande valore che vanno dal VIII secolo avanti Cristo al IV a.C. Ci sono ceramiche, coroplastiche, monili scelti tra i 200 di una raccolta privata mai esposta al pubblico”.

Protagonisti dell’iniziativa sono gli studenti deli liceo De Sanctis come spiega la dirigente scolastica, Santa Di Mauro. I ragazzi delle III classi del liceo Linguistico e Scienze umane, con i loro tutor Santa Longo, Angela Di Salvo ed Enrico Santaniello, hanno curato ogni passo della mostra nel contesto di un Pcto promosso dalla scuola: hanno così studiato i reperti, descritto i pezzi in didascalie e pannelli tradotti in quattro lingue, curato brochure e saranno loro a fare da “ciceroni” all’interno della esposizione.

“L’arte va vissuta, entra nelle aule scolastiche e coinvolge ragazzi e ma anche famiglie – dice la dirigente scolastica Santa Di Mauro -. In un solo giorno abbiamo ricevuto decine di prenotazioni e siamo felici perché coinvolgere il territorio e divulgare cultura è il primo traguardo raggiunto”.

Soddisfatta la soprintendente di Catania, Donatella Aprile. “Un evento importante e di rilevante interesse didattico culturale che vede la scuola protagonista, che si trasforma, per un momento in museo. Gli fa eco Rosario Santanastasio, presidente nazionale Archeoclub D’Italia: “Restituiamo alle nuove generazioni, ai possibili fruitori un patrimonio che sembrava perduto”.

Dopo il liceo De Sanctis di Paternò, toccherà al liceo Eschilo di Gela e all’istituto Russo di Caltanissetta come annuncia Rosalba Panvini, archeologa, docente accademica e curatrice del progetto scientifico. “La mostra è stata resa possibile grazie all’applicazione della Carta di Catania che permette di dare in concessione, sotto la vigilanza della Soprintendenza, oggetti custoditi nei depositi. Lo abbiamo già sperimentato con successo e toccherà presto ad altre realtà. E’ auspicabile che altre istituzioni scolastiche e altre realtà private possano essere coinvolte in questo processo di divulgazione culturale che ha anche quale obiettivo quello di far lavorare i giovani laureati”.

A guidare gli studenti anche una docente-archeologa, Letizia Blanco, che ha aiutato i ragazzi nel viaggio lungo la storia e nella redazione di giochi tecnologici che imparare divertendosi con le forme dei vasi antichi e le epoche del passato. “Giocare con le forme dei vasi antichi” è infatti il titolo dell’attività interattiva ideata dai ragazzi per animare le visite al museo trasformandole in varie iniziative didattiche. Inoltre, come spiega l’architetto Francesco Finocchiaro, gli studenti coinvolti nel progetto hanno sperimentato uno speciale scanner e un laser 3D con cui è stato ricostruita e studiata la copia di uno dei reperti in mostra.

Allestita all’interno di un’aula adeguatamente fornita di sistemi di sicurezza, la mostra si snoda lungo 14 vetrine. Scaffali come cassette archeologiche, spiega l’architetto Francesco Finocchiaro, “per trasformare l’ambiente che caratterizza i depositi di reperti archeologici in un linguaggio iconico, usando materiali e tecniche a basso costo e afferenti alla modalità dell’autocostruzione. Architettura, arte, design e comunicazione sono le scale esplorate dal progetto di allestimento, in uno spazio scolastico che si adatta alla necessità di narrare un’esperienza. Uno spazio dove la modularità e la luce, opportunamente modellata, accoglie una istallazione metafisica che guarda verso le serialità di Sol Lewitt. Il progetto si caratterizza per la sua capacità di trasformarsi, adattarsi, persino riconfigurarsi, senza per questo modificare la sua natura. Legno, vetro e cartone stampato sono la materia che lo compongono e la luce che si lascia attraversare, determina un linguaggio di ombre riportate che fanno vibrare lo spazio. Le didascalie, il pannello didattico, prendono la forma della finestra a nastro che illumina lo spazio, quasi a prolungare una linea immaginaria. Una finestra verso la natura, una finestra verso la narrazione, quindi una natura che dialoga con lo spazio interno fino a farne parte. Credo che riportare i reperti – spesso dimenticati – nei loro territori di origine o provenienza, sia una scelta necessaria e auspicabile. Per responsabilizzare le comunità, per rimarcare la necessità di legalità, per sostenere la ricerca e gli studiosi, per rigenerare l’identità. Bisogna territorializzare il patrimonio culturale e puntare al recupero complessivo delle perifericità, oltre i luoghi più iconici. C’è un patrimonio inestimabile ancora da scoprire e l’antica città di Hybla Major è un luogo che oggi merita attenzione, con la scuola, con le istituzioni, con l’associazionismo. Il progetto di allestimento tiene conto anche di questi fattori, semplificando e valorizzando le azioni del costruire”.


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