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“Ricordi di un campesino”: Catania celebra Che Guevara al Castello Ursino

L’umanità di Ernesto Che Guevara viene fuori a tutto tondo, specie nella descrizione del suo profondo rapporto con la madre e con i propri figli

Con “Ricordi di un campesino” Luigi Favara, uno degli ultimi cantori di quell’immensa rivoluzione cubana che portò al potere i cosiddetti “Barbudos”, Fidel Castro, Raul, il Che e tutti i loro compagni che lottarono strenuamente contro la dittatura militare di Batista, grazie alla regia di Gianni Scuto, ci vuole restituire una storia che forse molti hanno dimenticato e che proprio in questi giorni andrebbe rispolverata per ricordare alle nuove generazioni la figura di Ernesto Guevara De La Cerna, uno dei più grandi uomini e rivoluzionari del nostro tempo.

Lo spettacolo, attraverso il racconto puntuale di alcuni protagonisti della storia: Nonno Pepito, compagno di mille battaglie del Che e sua moglie, l’inseparabile amico Alberto Granado, la stessa Celia, madre del Che e con la partecipazione di altri attori-narratori, ci descrive nell’arco di meno di dieci anni la storia, i sentimenti, la forza, lo sprezzo del pericolo, i legami familiari, le idee pure del grande rivoluzionario argentino che dopo aver partecipato attivamente alla rivoluzione cubana assieme al suo amico Fidel e dopo aver ricoperto importantissimi incarichi pubblici, lascia tutto per andare in Bolivia a “continuare” la sua rivoluzione.

L’umanità di Ernesto Che Guevara viene così fuori a tutto tondo, specie nella descrizione del suo profondo rapporto con la madre e con i propri figli, ma ancor di più mostrando il suo totale disinteresse materiale e di potere, se non per la riuscita della “sua” rivoluzione. Un racconto che, al di là dell’adesione alle idee marxiste e rivoluzionarie del Che, rimane molto appassionante ed interessante, specie per inquadrare meglio la figura umana e i sentimenti di quest’uomo che ha segnato, volente o nolente, l’intera storia della seconda metà del ‘900.

Questo mio modesto lavoro – spiega Luigi Favara – non vuole essere né una beatificazione né un attacco a questa straordinaria figura, ma si prefigge come scopo, quello di comprendere, l’uomo, il figlio, il padre ed anche il guerrigliero. In esso sono presenti vari momenti artistici che, la regia di Gianni Scuto, ha legato tra loro per rendere più efficacemente il quadro della vita di Ernesto Guevara, che difficilmente può compattarsi in un semplice racconto. Tutto ciò aiuta a capire come il mito del Che abbia potuto superare indenne la crisi delle ideologie e riaffiorare più attuale che mai, diventando figura carismatica ed icona della contestazione anche per gli oppositori delle teorie marxiste”.


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